“La posizione della Cei sul prossimo referendum è stata espressa nella recente sessione straordinaria del Consiglio permanente con l’invito dei vescovi a un attento discernimento sui temi in oggetto: questioni del lavoro e della cittadinanza”.
L’invito che raccogliamo è quello di, come cristiani praticanti, non essere indifferenti alle questioni sociali ma ritornare ad avere una parte attiva nelle decisioni che riguardano il nostro paese e la vita sociale.
A tal proposito, sperando di fare cosa gradita, riassumiamo qui di seguito i punti oggetto del referendum con una sintesi dei temi a favore o contro l’abrogazione delle norme vigenti.
GUIDA SINTETICA ALLA
COMPRENSIONE DEI QUESITI
REFERENDARI DELL’8 E 9
GIUGNO 2025

Quesito 1 (verde)- Contratto di lavoro a tutele crescenti – Disciplina dei licenziamenti illegittimi: abrogazione
Nelle imprese con più di 15 dipendenti, in diversi casi di licenziamento illegittimo non c’è il
reintegro nel posto di lavoro previsto dall’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori del 1970 ma
un indennizzo economico che può arrivare fino ad un massimo di 36 mesi. Secondo il sindacato C.G.L. questa norma è penalizzante e si chiede al cittadino di abrogarla.
Firmando SI a questo quesito si chiede di ritornare alla norma del 1970 , obbligando l’impresa alla riassunzione del dipendente licenziato in modo illegittimo (ma solo per gli assunti dopo il 7 marzo
2015).
Resta comunque garantito, indipendentemente dall’esito del referendum, il reintegro nel
posto di lavoro nei casi di licenziamento discriminatorio (ad esempio per ragioni legate a
opinioni politiche, religiose, fatto durante la maternità o intimato in forma orale) .
I pro e i contro del quesito
PRO: Per i lavoratori dipendenti, assunti dopo il 2015, sarebbe ampliata la possibilità di ritornare al proprio posto di lavoro. Secondo i promotori del referendum l’abolizione del contratto a Tutele crescenti rafforzerebbe in generale la condizione dei dipendenti, che risulterebbero meno “ricattabili”, ad esempio in materia di sicurezza.
CONTRO: il ritorno all’applicazione della legge Fornero abbasserebbe a 24 mensilità il massimale nel caso di licenziamenti individuali senza una motivazione sufficiente, mentre il minimo verrebbe innalzato da 6 a 12 mensilità. Inoltre, non sarebbero più tutelati i dipendenti
delle organizzazioni di tendenza (sindacati, organizzazioni religiose, ecc.), oggi ricompresi nel
regime delle Tutele crescenti. È possibile, infine, che il maggiore irrigidimento della normativa possa scoraggiare le assunzioni.
Quesito 2 (arancione) – Piccole imprese – Licenziamenti e relativa indennità: Abrogazione parziale
Il quesito riguarda le piccole imprese, cioè quelle con meno di 16 dipendenti.
Firmando SI si chiede l’eliminazione parziale della norma, cioè la parte riguardante il tetto massimo di risarcimento, oggi fissato a 6 mensilità di stipendio.
In caso di vittoria dei SI sarebbe il giudice a stabilire l’entità del risarcimento senza tetti massimi precostituiti.
PRO: l vantaggio per i lavoratori delle piccole imprese sarebbe quello di avere una tutela
risarcitoria più consistente che, in questo caso, sarebbe di volta in volta fissato dal giudice
presso cui viene intentata la causa di lavoro .
CONTRO: eliminato il limite massimo, il giudice potrebbe stabilire un indennizzo molto elevato, persino più alto di quello da 24 o 36 mensilità previsto per i dipendenti delle grandi
aziende, un onere molto pesante per piccole realtà produttive. E questo rischio, senza un
limite certo ai risarcimenti, potrebbe scoraggiare le piccole imprese dal fare assunzioni.
Quesito 3 (grigia) – Abrogazione parziale di norme in materia di apposizione di termine al contratto di lavoro subordinato, durata massima e condizioni per proroghe e rinnovi.
Attualmente, secondo il Decreto Legislativo 15 giugno 2015, n. 81, i contratti a termine possono essere stipulati liberamente fino a 12 mesi senza necessità di motivazione.
Il quesito referendario mira a eliminare questa possibilità, reintroducendo l’obbligo di specificare le
ragioni tecniche, organizzative o produttive per l’assunzione a termine fin dal primo giorno
di contratto.
PRO: Il vantaggio principale, secondo il comitato promotore, sarebbe quello di limitare il
ricorso ai contratti a termine. L’iniziativa mirerebbe a ridurre il precariato.
CONTRO: l’irrigidimento delle condizioni per l’accensione dei contratti a termine potrebbe
avere un effetto negativo sulle assunzioni, considerando che il primo ingresso strutturato
nelle imprese dei giovani passa ormai quasi sempre per uno o più contratti a termine e che
le imprese possono creare maggiore occupazione se più “libere” di assumere personale a
tempo per esigenze particolari, senza doverle “motivare” rigidamente. È possibile, inoltre,
che aumenti il contenzioso giudiziario a riguardo.
Quesito 4 (viola) – Esclusione della responsabilità solidale del committente, dell’appaltatore e del subappaltatore per infortuni subiti dal lavoratore dipendente di impresa appaltatrice o subappaltatrice, come conseguenza dei rischi specifici propri dell’attività delle imprese appaltatrici o subappaltatrici: Abrogazione
Attualmente, questa norma esclude la responsabilità solidale del committente per i danni
derivanti da rischi specifici propri dell’attività delle imprese appaltatrici o subappaltatrici. Il
quesito referendario mira a eliminare questa esclusione, estendendo la responsabilità del
committente anche ai danni causati da tali rischi specifici.
PRO: Il vantaggio sarebbe certamente quello di spingere qualsiasi azienda committente a
una maggiore vigilanza sulle attività e le condizioni dei lavoratori delle imprese appaltatrici
e scoraggerebbe il ricorso a imprese con lavoratori in “nero” o poco professionali.
CONTRO: Onere eccessivo per i committenti: Attribuire responsabilità anche per rischi
specifici delle imprese appaltatrici potrebbe scoraggiare l’esternalizzazione di attività e aumentare i costi per i committenti, oltre a delle Complicazioni contrattuali.
Quesito 5 – Cittadinanza italiana: Dimezzamento da 10 a 5 anni dei tempi di
residenza legale in Italia dello straniero maggiorenne extracomunitario per
la richiesta di concessione della cittadinanza italiana
il quesito mira a eliminare alcune parti dell’articolo 9, comma 1, lettere b) e f), con l’obiettivo di ridurre da dieci a cinque anni il periodo di residenza legale richiesto per gli stranieri extracomunitari maggiorenni che desiderano ottenere la cittadinanza italiana.
Ragioni del “Sì”
Riduzione della discriminazione: Uniformare il periodo di residenza richiesto può contribuire a eliminare disparità di trattamento tra diverse categorie di stranieri.
Integrazione sociale: Facilitare l’accesso alla cittadinanza può favorire l’integrazione degli stranieri nella società italiana, diminuendo l’emarginazione e dunque i problemi sociali relativi alla mancata integrazione.
Allineamento con altri paesi europei: Molti stati membri dell’UE richiedono periodi di residenza inferiori a dieci anni per la concessione della cittadinanza.
Ragioni del “No”
Valutazione dell’integrazione: Un periodo di residenza più lungo può essere considerato necessario per valutare l’effettiva integrazione dello straniero nella società italiana.
Controllo più rigoroso: Un periodo di dieci anni consente un controllo più approfondito sulla condotta e sull’adattamento culturale del richiedente.
Preoccupazioni sulla sicurezza: Chi sostiene il no valuta in senso opposto i rischi sicurezza. I si immaginano che maggior e rapida integrazione favoriscano la sicurezza. I no pensano che ridurre il periodo di residenza potrebbe sollevare preoccupazioni riguardo alla sicurezza e alla coesione sociale.
Fonte: tratto dal giornale Avvenire
Consiglio Permanente: Comunicato finale
Fonte: https://www.chiesacattolica.it/consiglio-permanente-comunicato-finale/

Referendum, cittadinanza e situazione delle carceri
La riflessione del Cardinale Presidente è stata anche occasione per tornare sulle questioni del lavoro e della cittadinanza, al centro del prossimo Referendum, rispetto alle quali i Vescovi hanno invitato a un attento discernimento. Riguardo al tema della cittadinanza, nello specifico – pur limitandosi alla riduzione del numero di anni per ottenerla (da 10 a 5), mentre sarebbe utile una riforma complessiva della legge – i presuli hanno rinnovato la richiesta di una visione larga che eviti mortificazioni della dignità delle persone. Tutto ciò nel solco di quanto affermato, ormai da tempo e in diverse occasioni, dalla CEI, cercando di integrare nella pienezza dei loro diritti coloro che condividono i medesimi doveri e valori.
Preoccupazione è stata poi ribadita rispetto a un’altra emergenza che continua a interpellare la società e le comunità ecclesiali: la situazione delle carceri. A tal proposito, è stato ricordato quanto proposto in occasione del Giubileo, ovvero di assumere «iniziative che restituiscano speranza; forme di amnistia o di condono della pena volte ad aiutare le persone a recuperare fiducia in sé stesse e nella società; percorsi di reinserimento nella comunità a cui corrisponda un concreto impegno nell’osservanza delle leggi» (Spes non confundit, 10). Da qui il rinnovato invito a adottare misure alternative e provvedimenti di clemenza, oltre a un cambiamento di politica che promuova la dignità dell’uomo, favorendo nei luoghi di reclusione educazione e riscatto.